venerdì 13 maggio 2011

Assignment 3: Coltivare le connessioni

Ammetto di essere stata un po' intimorita da questo assignment, non tanto per le 60 pagine da leggere (una mole esigua in confronto ai mattoni che siamo abituati a studiare per l'università) ma per la paura di non riuscire a tirare fuori niente di buono e di buttare giù poche righe banali e noiose. E' una sensazione assimilabile all'ansia pre-tema in classe, che penso molti di voi abbiano provato appena una volta. Per questo ho deciso di aspettare un po' (quasi due mesi!) prima di confrontarmi a tu per tu col temuto pdf che faceva capolino dal desktop e che ho avuto sotto gli occhi per un bel po' di tempo. Ma adesso il semestre sta volgendo a termine, lo stress degli esami inizia a farsi sentire ed è arrivato il momento riflettere un po' su cosa significa essere parte di una comunità (virtuale come la nostra blogoclasse, e non solo).

Leggendo pagina per pagina, il primo pensiero che ho avuto riguarda la definizione di rete e di organizzazione: la prima è un'"entità" senza ordine né gerarchia, che cresce spontaneamente e in modo caotico; la seconda invece è un sistema gerarchico e ordinato, in cui ciascuno ha un ruolo ben preciso. Pensando ai concetti di rete e organizzazione (apparentemente molto diversi) mi è venuto subito in mente il corpo umano e la sua complessità ultrastrutturale. Ragionandoci un attimo mi sono chiesta se assomigliasse più all'una o all'altra definizione. Si tratta senza dubbio di un'organizzazione perfettamente efficiente, in cui la gerarchia è dettata dall'attività delle cellule, dalle funzioni dei vari tessuti, dalle diverse azioni degli organi. Ma esiste un "pezzo" della nostra "macchina" che ha un ruolo più importante degli altri? Credo che la risposta sia no. Nel nostro organismo vige un rapporto di dipendenza reciproca delle varie strutture che lo compongono, concetto che ritroviamo anche nell'idea di "rete": gli apparati e i sistemi sono "nodi" distinti che concorrono a scopi diversi ma ugualmente importanti; gli organi che li costituiscono cooperano tra di loro per garantire la funzionalità della rete di cui fanno parte; i tessuti, si sostengono meccanicamente a vicenda, sono in grado di rimodellarsi, di rinnovarsi, possono espandersi in maniera incontrollata oppure degenerare, insomma sono altamente dinamici! E infine le cellule, svolgono le attività più varie: nascono, si spostano, proliferano, si nutrono, muoiono, possono addirittura "suicidarsi" se le condizioni sono avverse, ma sorpratutto COMUNICANO. Si scambiano continuamente informazioni, si influenzano reciprocamente tramite sostanze particolari e sono in grado di elaborare risposte adeguate. L'ho immaginato subito come uno specchio della società in cui viviamo e con la quale abbiamo a che fare ogni giorno: siamo tanti piccoli nodi di una rete sconfinata, in continua mutazione ed evoluzione. Pensare in questi termini mi fa girare un po' la testa, è un po' come immaginarsi la vastità dell'universo o l'infinitamente piccolo delle particelle subatomiche, anch'esse minuscoli nodi all'interno di altri nodi, in una successione che si propaga senza sosta. Ma dopo tutti questi ragionamente molto "scientifici" è necessario tenere a mente una cosa, espressa anche da Leopardi nello "Zibaldone": una rete è più della somma delle sue parti! Basta pensare alla vita come rete di macromolecole o alla mente come rete di neuroni, due concetti che vanno al di là della semplice associazione dei singoli elementi che li costituiscono. Questa premessa fa traballare anche l'approccio riduzionista, secondo il quale sarebbe possibile scomporre un sistema nelle sue parti e dedurre il comportamento dell’insieme a partire da quello delle singole componenti. Dall'altra parte sta la concezione olistica, per la quale sento una propensione maggiore, in particolare per la sua applicazione in campo medico. Credo sia impossibile non appoggiare la concezione di salute dell'individuo non come semplice assenza di malattia ma come benessere globale di corpo, mente, società e ambiente. Una definizione simile, se non uguale, è perfino riportata nella costituzione dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Sono ben lontana dall'essere un medico, ma credo sia importante indagare anche le cause psicologiche della malattia, oltre all'eseguire esami e test vari. Come ci hanno ribadito più volte nel corso di Scienze Umane del I semestre, il paziente non è solo una serie di sintomi, è una persona, e va trattata come tale.

Proseguendo nella lettura, sono incappata in una frase vera quanto agghiacciante: "Una cosa viva si distrugge allorché non la si capisce più e non si è più in grado di parlarle.". E' proprio vero, ciò che non conosciamo lo uccidiamo senza accorgercene. Basterebbe prestare ascolto a ciò che hanno da dire tutte le cose vive con cui entriamo a contatto abitualmente, soffermarsi più spesso a osservare e capire la realtà che ci circonda ed empatizzare con entità vive, proprio come fa il mezzadro col suo podere e i suoi animali. Questo significa già "coltivare le connessioni", che non sono necessariamente quelle del computer o di Facebook. Perfino le comunità presenti su internet nascono, si trasformano, muoiono: sono umane e sono vive (da qui il nome "living network"), e dobbiamo prenderci cura di loro. Purtroppo oggigiorno la scuola non ci insegna più come relazionarsi con le persone, come capire le necessità degli altri "nodi" viventi come noi e come prendersi cura di essi. L'istruzione ormai è finalizzata a prepararci al mondo del lavoro, non alla vita che ci aspetta al di fuori delle mura dell'aula o di casa nostra. Sarebbe bello incontrare nel proprio percorso scolastico almeno un maestro come Don Milani, qualcuno che abbia a cuore le persone e che ci insegni ad avere a che fare con le "cose vive", come il mezzadro che si prende cura del podere e degli animali ed instaura con essi un dialogo, senza mai perdere di vista l'insieme (quest'ultima cosa mi fa tornare in mente il medico olistico e il paziente nella sua interezza fisica-psichica-spirituale).


Il professore scrive, dopo la metafora del mezzadro e quella del maestro:
"Il vero maestro si disinteressa della quantità ma solo della qualità, perché la quantità sarà affare del giovane ma è sulla ricerca della qualità che il maestro può essere utile. Raro. Rarissimo a scuola. La rarità rende ancor più fulgide le eccezioni che fortunatamente esistono. Se avete avuto la fortuna di trovare un maestro sul vostro cammino, ebbene ripensate a quell’esperienza."
Beh, posso ritenermi sfortunata da un punto di vista scolastico perché non ho mai incontrato un maestro di vita tra le mura di una scuola o del mio ex liceo, e invidio molto chi ha avuto questa grande ricchezza. Ma anche se esula un po' dal mondo dell'istruzione, posso dire di aver trovato un grande esempio e una persona da stimare nel mio maestro di pianoforte. Mi ha insegnato a non fermarmi mai allo studio puramente tecnico, ma a provare a trasmettere qualcosa a chi ascolta. Per ogni nuovo pezzo che imparavo, lui mi raccontava la vita del compositore che lo ha scritto, in che periodo storico viveva, di che corrente musicale faceva parte, e insieme ci immaginavamo quale fosse il suo stato d'animo, se era innamorato, infelice, malinconico, se il pezzo gli era stato commissionato dall'imperatore, se era dedicato a una fanciulla o se lo aveva composto semplicemente per se stesso. In pratica, per suonare bene un brano è indispensabile conoscere chi lo ha scritto. E non si trattava di studiare a memoria una biografia (come capita a scuola), ma di entrare nel vivo di un'epoca storica, di mettersi nei panni del compositore, di entrare nella sua mente e nel suo cuore. Ogni brano che suonavo aveva una storia diversa, e ogni racconto stimolava la mia immaginazione e la mia creatività, come se Bach o Beethoven fossero lì a parlarmi e ad ascoltarmi.

Ma torniamo alle nostre connessioni: internet è una grande risorsa, così vasta che è facile perdersi. E allora come fare a tirarne fuori il meglio? Ho trovato davvero bella la metafora del bosco: per conoscerlo non c'è bisogno di un manuale, non è necessario imparare tutti i sentieri, tutti gli alberi e tutti i cespugli che vi si trovano. Per conoscere il bosco basta godersi una passeggiata. Quindi ne traggo le mie personali conclusioni: per conoscere qualcosa basta viverla. Solo l'esperienza ci dà la consapevolezza del mondo che ci circonda, ed è una consapevolezza personale, che non troverete in nessun libro e in nessun manuale. Quindi per imparare a stare online dobbiamo trasformare le nostre connessioni in un PLE (Personal Learning Environment), ovvero in un ambiente in cui si vive un'esperienza di apprendimento. Infatti il web ci offre infinite opportunità per arricchire la nostra persona, e ci consente anche di essere protagonisti del nostro apprendimento scegliendo ciò che ci piace e personalizzando le nostre conoscenze (ben lungi dall'istruzione scolastica). Inoltre la conoscenza che ci offre la rete è alla portata di tutti, e tutti possono contribuire a produrla. Perfino Leopardi aveva un ricchissimo PLE (non un computer ovviamente, ma una grande biblioteca!) e questo ha fatto di lui non solo un uomo colto e un grande poeta, ma anche una persona viva, protagonista della sua vita e unica al mondo. Infatti, citando il professore, "Colui che apprende è un uomo che coltiva con amore e pazienza il proprio giardino delle connessioni.". E, aggiungerei, il blog che ci ha spinto a creare e a "curare" è un ottimo mezzo per creare e coltivare connessioni con persone vicine o lontane, con gusti affini o interessi diversi, con cui condividere esperienze, racconti, sorrisi. :)

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